Antonio Petrilli

Il titolo della mostra e le intenzioni dell’autore rimandano ad un tema fortemente condizionato da una idea religiosa che da alcuni anni è sempre più presente nell’opera di Giovenale.
A guardar bene le opere, però, ci si accorge che i lavori seguono una loro forza interna che li porta in direzioni impensate.
Molte figure, infatti, sembrano uscite da un atelier piuttosto che da una chiesa o da una sagrestia.
Ed è questo il mistero dell’arte. E questa la forza dell’arte vera.
Infatti, al di là dell’intento mistico, direi quasi '’missionario”, di Giovenale, i suoi lavori sprigionano, attraverso una policromia spesso sgargiante e una esplosione di segni che si spandono fin sulle stesse cornici, una gioia "laica" di vivere, un piacere visivo che coinvolge l’artista prima ancora che il fruitore della sua arte.
Questo ho da sempre notato e sottolineato nel lavoro di Giovenale, fin da quando (nelle "Tauromachie") appariva evidente il gusto dell’impasto materico del colore e dell’uso delle terre, che nasceva dal piacere di"sporcarsi le mani"più che da quello di "ideare” e "progettare”.
Sembra quasi che l’artista, nella profondità della sua fede, tema che ”il godimento” del dipingere possa diventare un peccato e quindi, a livello inconscio, voglia giustificare la sua attività pittorica con l’introduzione dell’iconografia sacra.
Se i lavori di Giovenale rispondessero sic et simpliciter al dichiarato intento di favorire la diffusione della fede, la sua arte rischierebbe di risultare retorica e artificiosa. Per fortuna Giovenale è un artista vero e i suoi lavori esprimono un mondo interiore ricco di elementi della vita quotidiana e della fantasia popolare che lo rendono rappresentante e interprete della società contemporanea, al rii là delle sue stesse intenzioni.

Antonio Petrilli