Elio Galasso

Le cellule figurative di Giovenale
A parte qualche rapida intuizione, la critica non pare a suo agio in cospetto dell’opera di Giovenale.
Attivo nella natia Benevento, egli è del resto una figura anomala nel suo stesso luogo d’origine, nel cui dibattito intellettuale inserisce scarsissime trame personali. E non soltanto per via di una deliberata scelta, non troppo partecipe delle pur notevoli situazioni emergenti.
Va però ormai constatato che il suo impegno è instancabile. Accanto alla serie di lavori che introducono la poetica della materia povera, legni e metalli, e la carta per esempio, trattata con dignità analoga all’olio su tela, per asservirla ad uno struggente bisogno di armonia, Giovenale mette insieme elementi di superficie e forme nello spazio, senza che mai un dato risulti accidentale. Il controllo delle pulsioni è pieno, lucido, direi perciò rassicurante.
Durante la sua recente mostra nel chiostro romanico di Santa Sofia, nel Museo del Sannio, non mi sembrò paradossale richiamare alla mente gli artisti di propensione classica, per quella strutturazione cristallina dello spazio e quei simboli assonanti tra loro non meno che con il monumento medievale grondante di rimandi all’antico. E quel ricordo della spazialità controllata, che riordina a suo modo le tracce della realtà, perdura tuttora.
Giovenale ha in sé l'esprit de geometrie. Di qui la difficoltà di riflettere sul suo percorso artistico apparentemente caotico, certo spiazzante. Egli infatti non è un riciclatore di materiali con intenti provocatori; compone talvolta quasi dei ready-made, ma è lontano dal concettualismo Dada; parla attraverso una materia assai manipolata, di sconvolta figuratività, eppure non produce quella istantaneità di gesto-pittura dell’informale europeo.
Figuratività, comunque. E sono immagini di fiaba o segni di presenze vive, catturate in una impaginazione inedita dove i riflessi del reale vanno a piegare la materia
dell’opera fino a sganciarla dalla sua funzione di supporto e a farla diventare essa stessa arte. Le figure vi sono riconoscibili a prima vista, come per suggerire che, al di là dei problemi formali, hanno a che fare con l’esistenza e con l’esperienza. Il lavorio della ricerca traspare ovunque.
E’ l’uomo che attraversa spesso il campo del dipinto. Con lui l’ambiente organiz¬zato: il paesaggio naturale, habitat di una infinità di vite non certo rappresentate secondo una scala di valori; e poi lo spazio d’architetture, fuor di prospettiva, moltipli¬cato per scansioni ma non complicato, leggibile anzi quanto il segno forte che, per linee a preferenza scure, ferisce le campiture di cromìe dense, restituendo profili di persone, animali e oggetti come in una fantasmagoria di miniature orientali.
L’usura del tempo è la vera nota dominante. Il Tempo, sempre presente in questi lavori, soprattutto nel suo significato di consunzione delle cose, di vissuto, supera l’importanza della materia e libera il quadro dalla ristrettezza dello spazio a cui è obbligato dalla sua misera dimensione.
Giovenale non disdegna la modularità, come traduzione visiva dello spazio cronologico. Ed è proprio in questa esigenza di confrontarsi con il Tempo che si può leggere gran parte della sua produzione, alternativamente ispirata dal magna primor-diale e dalla materia-esistenza.
Procede così, l’autore, per costruzioni di incastri di cellule figurative d’invenzione. Ne risultano strutture in espansione, progettualmente incompiute perché ricondotte ciascuna alla forma di nuova cellula da servire per un organismo ulteriore. Un frammento, ogni frammento, qui rimanda ad un intero più grande. Appunto come dicevo all’inizio. Quale sarà il termine ultimo?
La vita è continua usura e perenne rinascita, e l’arte ha in sé le stesse leggi. L’artista, per Giovenale, ha il dovere di sondarne il mistero.

Elio Galasso

(Direttore Museo del Sannio)